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59. L'autorità rappresentativa di Cristo e di san Pietro

(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio


Ignazio ci fa «contemplare come Gesù era obbediente ai suoi genitori» (Ej 134, 271). «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38). L’obbedienza di Gesù è quella del Figlio incarnato che, «essendo ricco di ogni cosa, si spogliò di tutto per darci esempio»; «pur vivendo nella gloria di tanta potenza, di tanta sapienza e di tanta bontà», spiega Ignazio a Pietro Contarini (Epp 13: I, 124-125), «si sottomise tuttavia al potere, al giudizio e alla volontà dell’uomo, che è così insignificante». In lui questa obbedienza con cui ci ha salvato (Rom 5,19), si radica nel suo amore filiale al Padre. Con essa ci ha lasciato il modello (Eb 5,8) da seguire: «Abbiate in voi», chiede san Paolo, «gli stessi sentimenti che furono in [lui]» (Fil 2,5). È possibile vivere così in lui l’obbedienza, perché Dio ha provveduto, sia nell’ordine naturale, sia nell’ambito della Chiesa, a darci delle figure rappresentative della sua paternità.



Alla Comunità di Gandía


(27 luglio 1549)


[Consideriamo il] vivo esempio di Cristo nostro Signore che, vivendo in compagnia dei suoi genitori, era sottomesso a essi [Lc 2,51]; e in mezzo a loro lo era a Giuseppe la nostra comune Signora la Vergine Maria; e così l’angelo gli parla come a un capo: prendi con te il bambino e sua madre [Mt 2,13]. Lo stesso Cristo nostro Signore, quando viveva in compagnia dei discepoli, si degnò di essere il loro superiore; e quando dovette smettere di essere presente di corpo, lasciò a san Pietro la guida degli altri e di tutta la sua Chiesa, affidandogli il loro governo: Pasci le mie pecorelle [Gv 21,17]. E così lo fu, anche dopo che gli apostoli furono riempiti del santo Spirito.

CB XIII/6_2 [Epp 182: XII, 332)












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