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37. La ricerca del falso onore

(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio



Al «solo servizio, onore e gloria di sua divina Maestà» (Ej 16) Ignazio oppone «la vergogna e il timore per l’onore mondano» (Ej 9), per quel «vano onore del mondo» (Ej 142) che, da giovane, aveva fra i suoi ideali. «Fino a 23 anni», egli confessa, «fu uomo dedito alle vanità del mondo e trovava soprattutto piacere nell’esercizio delle armi con grande e vano desiderio di procurarsi fama» (Au 1). Al Creatore e Signore occorre «rendere l’onore e la riverenza che gli sono dovuti” (Ej 38); degli apostoli, “di rozza e bassa condizione», conviene stimare «la dignità alla quale furono tanto soavemente chiamati» (Ej 275). Nelle sue Lettere, mette spesso in guardia contro la tentazione dell’ambizione (Epp 302: II, 71-73) o semplicemente dell’occupazione in cose irrilevanti: tanti «passano tutta la vita cercando di trascorrere questi pochi giorni della presente peregrinazione negli onori e nella prosperità, senza provvedersi, o almeno con molta poca cura, di quella che deve essere per loro causa di ricchezza, onore e prosperità, e di inestimabile ed eterna contentezza nella patria celeste» (Epp 4306: VI, 522-525). Laddove confina con la «superbia» (Ej 146), la «vanagloria» nella quale «eleviamo il nostro spirito» (Ej 322) ci trascina sotto l’influsso di «Lucifero» (Ej 138). È quanto il gentiluomo pentito ravvisa in un tragico duello avvenuto in Portogallo dove il P. Míron è provinciale.





A Diego Mirón (5 aprile 1554)

Si è raccontato alla mia presenza come a Roma due fratelli portoghesi si siano sfidati a duello a vicenda, uccidendosi entrambi. Detesto quest’abuso perverso e diabolico tra i cristiani, che non c’è neppure tra gli infedeli, di rischiare per motivi tanto vani le anime e i corpi. […] Di questo abuso tanto empio e contrario ad ogni ragione divina e umana l’autore non può essere che il demonio. [Questo] non ha nessun fondamento se non nell’opinione falsa di uomini mondani, la maggioranza dei quali confessa di esser tiranneggiata da questa maledetta usanza e di sentire il peso di esserne soggetta.

CB VIII/1_1 [Epp 4336: VII, 564.565








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