(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio
Rendersi «indifferenti rispetto a tutte le cose create» include, per Ignazio, il non voler «più salute che malattia» (Ej 23). Egli è consapevole del valore della salute (l’esercitante deve stare «attento a non cadere in infermità»: Ej 213). Però, esso non è assoluto. Nel Vangelo, i discepoli sono inviati per «curare tutte le infermità» (Ej 281), ma a un certo momento Gesù lascia morire il suo amico Lazzaro (Ej 285). La santa indifferenza richiede dal cristiano di vedere nella malattia e nella morte un’occasione per «provare quanto valiamo e quanto avanziamo nel suo servizio e lode» (Ej 322) e di esaminare dove poniamo le nostre «affezioni» (Ej 342). Nella sua lettera a Isabella Roser – la prima che egli scrive a quella nobildonna benefattrice di Barcellona –, dopo averle espresso la sua compassione il santo le spiega che «tutto», e quindi anche la sua malattia, «è dono e grazia di Dio nostro Signore» (Ej 322) e che anzi questa prova è un segno del suo amore speciale verso di lei.
A Isabella Roser
10 novembre 1532
Mi scrivete della vostra lunga malattia e dell’infermità passata, con un grande dolore di stomaco che vi è rimasto. Veramente, quando penso all’indisposizione e al dolore presente, non posso che sentirli dentro la mia anima, giacché desidero per voi ogni bene e prosperità immaginabili che vi possa aiutare per la gloria e il servizio di Dio N.S. Allo stesso tempo, visto che queste malattie e altre perdite temporali vengono spesso dalla mano di Dio, affinché più ci conosciamo e più perdiamo l’amore verso le creature, considerando maggiormente quanto sia breve questa nostra vita in modo da adornarci per quell’altra che durerà sempre; e al pensare che con queste cose Dio visita le persone che molto ama, non posso sentire né tristezza né dolore, perché penso che da una malattia un servitore di Dio esce mezzo dottore per indirizzare e ordinare la sua vita alla gloria e servizio di Dio N.S.
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