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23. Sulla comunione frequente

(Ri)leggere le Lettere di sant'Ignazio



Ignazio conosce la norma della Chiesa che chiede al cristiano di ricevere la comunione «una volta all’anno» (Ej 354). Ma a chi è desideroso di «perfezionarsi» (Ej 173) nella vita spirituale, egli raccomanda la comunione «ogni quindici giorni o, se vi si sente attratto, ancora meglio ogni otto giorni» (Ej 18). Sono persone che hanno fatto una buona confessione, anche generale, e che, essendosi così «meglio disposte a ricevere il Santissimo Sacramento», hanno trovato nel fare la comunione un «aiuto a non cadere nel peccato ma anche a conservarsi nel crescere in grazia» (Ej 44). C’è anche chi, come Teresa Rejadell (cf. Epp 73: I, 274-276), oppure qui Francisco de Borja, sente nel suo cuore il desiderio che «Sua divina Maestà si serva tanto della sua persona quanto di tutto ciò che possiede conformemente alla sua santissima volontà» (Ej 5) e aspira a «rendersi atto e a avvicinarsi al suo Creatore e Signore e a unirsi a lui». Per lui, la comunione più frequente è un mezzo adatto per «ricevere delle grazie e dei doni dalla sua divina Bontà» (Ej 20).




A Francesco de Borja

metà 1542


Sulla questione della comunione frequente non si può dare una regola universale, uguale per tutti: per alcuni sarebbe vantaggiosa e gradita a Dio; per altri potrebbe essere dannosa e ingiuriosa alla divina Maestà. Ma in sé, ricevere frequentemente il santissimo Sacramento dell’altare è opera santa e benedetta, e bisogna consigliarla quando nell’anima che deve prenderlo, si ha la disposizione e preparazione, quali lo richiede questo celeste e divino banchetto. E questa preparazione si deve conoscere con un esame della coscienza, disingannata con la luce e purificata dall’amor proprio; perché essa non ritenga preparazione ciò che non lo è, ma neppure tema quando non vi è motivo, privandosi, con mezzi non convenienti, di un così vantaggioso e saporoso pane di vita. Poiché è errore presumere di sedersi alla mensa del celeste convito senza esservi chiamati dal Signore, lo è pure allontanare dall’anima la salute e la vita, quando se ne ha necessità e Dio ci invita: nel primo caso si pecca di arroganza, nel secondo di pusillanimità. E per rispetto umano e per non prepararsi, si priva della grazia del santissimo Sacramento. […] Alcune regole per non sbagliare. La prima: che l’intenzione di chi deve comunicarsi frequentemente sia pura e retta. La seconda: il consiglio del padre spirituale e del confessore scelto. La terza: il vantaggio che l’anima sente nel crescere nelle virtù, specialmente nella carità, umiltà, misericordia, devozione; poiché se cresce e viene incoraggiato a queste virtù dalla comunione frequente, non deve tirarsi indietro o privarsi di tanto bene.

CB V/6_3 [Epp 45aA: XII, 217-218]



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